Dalla Libia all'Italia: il dramma delle carrette del mare verso il sogno europeo

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Somali, etiopi, eritrei, sudanesi aspettano da settimane che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si esprima sulla loro sorte. Siamo a Medenina, principale città della Tunisia sudorientale dove raccogliamo le storie di uno dei tanti viaggi della speranza partito dalla Libia. La Guardia costiera tunisina ha salvato nel settembre scorso 94 persone che tentavano di raggiungere le coste italiane a bordo di un natante che stava colando a picco. Behranu era in quella carretta di fortuna e ci racconta quei momenti drammatici. Per lui e per la sua compagna ha pagato ai trafficanti 1400 euro circa, una delle tariffe meno care. “Dopo due giorni di viaggio, la barca ha cominciato ad avere problemi al motore, che si è rotto. A bordo non c’erano cibo e acqua a sufficienza. Le persone non avevano più nulla da mangiare o da bere. Dopo sei giorni, in molti hanno cominciato a morire. Alcune donne che hanno intrapreso il viaggio incinte, hanno perso il loro bambino, hanno avuto degli aborti. Quando siamo entrati in Tunisia, stavano sanguinando.” Tra i superstiti c‘è anche un bimbo di soli 4 mesi. Dietro il sorriso, si celano grandi tragedie. Violenze sessuali, arresti e costanti violazioni dei diritti umani spingono a lasciare la Libia. E a non voler ritornare. Anche se la vita qui nel campo profughi è difficile. Behranu ci mostra dove e come vivono gli uomini che vengono separati dalle loro mogli. Il cibo e i servizi igienico-sanitari sono molto carenti. “Dobbiamo risolvere i problemi del nostro Paese, altrimenti le persone una volta tornate in Libia tenteranno di nuovo di andarsene, con altre carrette. Se saranno fortunati, entreranno in Italia, altrimenti moriranno,” è la convinzione di Behranu.

Ci dirigiamo nel porto tunisino di Zarzis. Da qui, sessanta chilometri da Medenina, sono partiti molti barconi con migranti provenienti dalla Libia e diretti in Italia. Sfidare il mare, arrivare sulle coste italiane e tentare la fortuna in Europa. Questo, per molti, ha rappresentato l’unico futuro possibile dopo la cosiddetta “rivoluzione” del 2011 che ha provocato la caduta del regime di Gheddafi. Ma oggi non è più così, i controlli sulle coste sono stati intensificati. A Zarzis sono numerose le famiglie nelle quali uno dei componenti ha sfidato il mare. Un ricordo amaro per Mohamed e sua moglie, uno dei loro figli ha perso la vita mentre tentava di raggiungere Lampedusa su una carretta che trasportava 120 migranti. “Rivivo la tragedia di mio figlio ogni istante, senza fine, credetemi. La rivivo quando vedo in televisione le immagini delle carrette o anche solamente del mare. E il mio cuore ogni volta si spezza,” dice Mohamed. Al dolore segue la rabbia. I sopravvissuti al naufragio hanno accusato una nave militare tunisina di aver deliberatamente speronato la barca per farla affondare, causando la morte di una trentina di passeggeri. Le denunce dei familiari delle vittime sono rimaste inascoltate. Chiedono giustizia e sollecitano anche l’Unione Europea affinché affronti il dramma del Mediterraneo dopo l’ultimo tragico naufragio a largo di Lampedusa.

C‘è chi non crede che la soluzione sia l’apertura delle frontiere europee. Come Fayçal che è alla guida di un’associazione impegnata nel reinserimento sociale e lavorativo dei migranti che hanno tentato invano la strada dell’Europa. Lui pone come prioritarie delle politiche più ambiziose di sviluppo locale, nei Paesi d’origine. Salem è tra quelli che hanno beneficiato dei fondi europei destinati al reinserimento nel mercato del lavoro. Era il 2011quando ha tentato la fortuna in Francia, dopo essere sbarcato a Lampedusa. La prigione, la disoccupazione e poi il rientro nel suo Paese. Un finanziamento comunitario di qualche migliaia di euro gli ha permesso di aprire un anno e mezzo fa un’officina, oggi non tornerebbe in Francia, neanche se gli promettessero i documenti e un lavoro. Anche Moez ha beneficiato di un finanziamento europeo per aprire il suo negozio. Il suo viaggio in Europa lo ha portato prima in Polonia e poi in Francia, dove ha lavorato senza documenti. Un’esperienza della quale non si pente, ma che sconsiglierebbe a chiunque. Ma qui a Zarzis in molti vogliono ancora partire. Come Issam, nonostante abbia un lavoro. Ha già fatto due volte la traversata verso Lampedusa, espulso la prima volta dalle autorità italiane, la seconda volta è riuscito ad arrivare in Francia. Dopo due anni da clandestino, è stato espulso. Ma il suo sogno resta l’Europa, e nessuno può dissuaderlo, neanche l’ultima tragedia. Convinto, come ci dice, che “ognuno ha il suo destino”.

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