Con l’arrivo dei C130 statunitensi e di una migliore macchina organizzativa i soccorsi hanno cominciato a raggiungere anche gli angoli più sperduti delle Filippine devastata dal tifone di qualche giorno fa.
Circa 7 milioni e mezzo le persone interessate. Se c‘è una notizia positiva, almeno per ora, è che le stime delle vittime sono state riviste al ribasso. Al momento, dalle oltre 10.000 di cui si parlava, si sarebbe scesi a circa 4000. Anche se molti corpi sono lasciati alle intemperie. La maggior parte dei morti pare si siano avuti a Tacloban, cittadina divenuta simbolo di questo ciclone.
Il rischio è dunque di dimenticare altri luoghi colpiti dalla tempesta come afferma un responsabile dell’Onu: “Dobbiamo raggiungere altre zone di Leyte e Samar prima possibile. Ci stiamo lavorando. Siamo arrivati qui per restarci”.
In realtà le provviste e gli aiuti ci sono, ma fanno fatica ad arrivare. Otto persone sono rimaste uccise ropio a Tacloban quando la folla ha cercato di impossessarsi di un carico di riso.
Non abbiamo cibo, né acqua. Né corrente, niente di niente. Abbiamo perso tutto. Non abbiamo più nulla”, dice una donna.
Dopo gli Usa anche il Giappone ha inviato corca 1000 uomini mentre il governo italiano a stanziato circa un milione e mezzo di euro per le vittime di questa tragedia.
Il problela sono le vie di comunicazione, ancora ostruite dalla massa dei detriti. I morti agli angoli delle strade rischiano di essere focolai di infezioni, ma nessuno può ritirarli per dare loro degna sepoltura. Il governo ha imposto il coprifuoco per combattere contro vandalismo e sciacallaggio, ma rischia di dover imporre la legge marzziale su larghe fette del territorio dove ormai non c‘è più legge.