Per Nuri al-Maliki è forse la più grande sfida della carriera politica. Il premier iracheno appare sempre più sotto pressione, e inviti più o meno velati a che si faccia da parte si moltiplicano.
Da ultimo si è espresso il Gran Ayatollah Ali Sistani. Attraverso rappresentanti, in occasione della preghiera del venerdì, la principale autorità religiosa irachena – che potrebbe giocare un ruolo determinante – ha invocato la formazione di un nuovo governo a Bagdad, sostenendo che al Maliki non è più in grado di controllare la situazione.
La presa di posizione arriva sulla scia delle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che non chiede apertamente le dimissioni di al Maliki, ma che con parole caute parla della necessità di un governo inclusivo.
Secondo la stampa statunitense in Iraq sarebbero in corso da giorni trattative tra leader politici iracheni con la partecipazione di funzionari americani per creare un esecutivo in grado di colmare le crescenti divisioni settarie ed etniche, dopo avere sostituito al Maliki.
“Sarebbe un errore molto grave da parte degli Stati Uniti – dice l’analista Kenneth Pollack – imbarcarsi in una campagna militare in Iraq, sia in modo unilaterale o in collaborazione con il governo di Bagdad poiché è stato screditato agli occhi della comunità sunnita, di quella curda, di parti importanti della stessa comunità sciita”.
Gli Stati Uniti hanno aumentato in modo significativo l’intelligence in Iraq, ha fatto sapere Obama, che ha escluso l’invio di truppe di terra.
Nei prossimi giorni il segretario di Stato John Kerry dovrebbe recarsi in Iraq per cercare di fare ulteriore pressione a favore di un governo più rappresentativo.