Joanne Liu, Medici Senza Frontiere: Sbagliato pensare di aver vinto la battaglia contro l'ebola

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Isabelle Kumar, euronews: Vanno dove molti di noi non oserebbero andare, sono in prima linea nella battaglia contro l’ebola, lavorano in Paesi lacerati dalla guerra: Siria, Iraq, Nigeria, Repubblica centrafricana, Ucraina, per citarne alcuni. Medici Senza Frontiere sono ovunque ci siano emergenze sanitarie. Parleremo di alcune di queste realtà con la presidente internazionale di MSF, Joanne Liu, che ringraziamo di partecipare a Global Conversation.

Di recente, MSF ha criticato la comunità internazionale per la sua reazione alla crisi di ebola, parlando di un doppio fallimento. Da un lato, la lentezza della risposta iniziale, dall’altro l’inadeguatezza delle misure adottate. Adesso, lei si ritiene soddisfatta della reazione della comunità internazionale alla crisi?

Joanne Liu, MSF: Dirsi soddisfatti sarebbe troppo generoso. Ciò che vorrei dire è che la gente ha ascoltato il nostro messaggio e ora le cose si sono organizzate meglio. Quello che vorremmo è un po’ di flessibilità e di capacità di adattamento perché buona parte delle misure adottate oggi rispondono ai bisogni di ieri. Oggi dobbiamo riconoscere che la situazione è mutata e dobbiamo adattarci. Non costruiamo più grandi strutture da 100 o 200 posti letto per l’isolamento dei contagiati. Ma ci servono centri più piccoli, sparsi nelle campagne. Questa è la sfida.

euronews: Lei è stata sul campo. Cosa significa avere l’ebola?

Liu: Penso che non dimenticherò mai quello che ho visto. Durante la mia ultima visita, sono stata in un centro dove c’erano sette pazienti: tre di loro erano in uno stato avanzato della malattia, non erano coscienti, sanguinavano dalla bocca, avevano sangue nelle feci. Eravamo molto preoccupati per la situazione medica. La cosa più dura da sopportare era vedere che queste persone erano sole, non c’erano famigliari accanto a loro, c’eravamo soltanto noi con queste tute spaziali che cercavamo di curarli. Mi dico sempre che gli esseri umani non dovrebbero morire da soli.

euronews: Quante persone dovranno morire prima che le cose inizino a cambiare? Si contano già 6.000 vittime e migliaia di contagiati. Fin dove si arriverà?

Liu: E’ molto difficile fare una stima. Tutti ci hanno provato… nello scenario peggiore che si è ipotizzato, qualcuno diceva che entro il 2015 saremmo arrivati a 1,4 milioni di casi. Non credo che arriveremo a quel punto. Ma, a mio parere, il messaggio centrale che dovremmo dare è che, per quanto in alcune aree i casi di contagio siano diminuiti, non dovremmo cantare vittoria. Forse abbiamo vinto alcune battaglie, ma certo non la guerra contro l’ebola.

euronews: Ora state testando nuovi trattamenti in alcuni dei vostri ospedali. Come stanno andando? Quando potremo vedere dei risultati?

Liu: Spero che questo mese riusciremo a cominciare almeno due test su farmaci antivirali per pazienti infetti in due nostri centri in Africa occidentale. I test dureranno alcune settimane e nel primo trimestre del 2015 potremmo avere i primi risultati.

euronews: Parlando di vaccini, che sono anch’essi testati negli Stati Uniti, possiamo dire che sono la nostra opzione migliore per contenere il contagio, o potremmo riuscirci, tecnicamente, con interventi sul campo?

Liu: Se penso al futuro, ciò che potrà fermare l’ebola, al livello più alto della catena di trasmissione, è un vaccino. E speriamo che questo strumento diventi disponibile al più presto.

euronews: Vale a dire?

Liu: Speriamo che nel 2015 avremo un vaccino per le popolazioni più esposte dell’Africa occidentale.

euronews: Abbiamo chiesto alle persone che ci seguono online di inviare domande e ne abbiamo ricevute molte, sui social media. C‘è Jen Schradie che chiede: State ottenendo il sostegno di cui avete bisogno – e credo che in parte abbia già risposto – ma quale Paese sta facendo di più e meglio per sostenere la lotta contro l’ebola?

Liu: Gli Stati Uniti sono stati molto attivi in Liberia e sono tra i Paesi che hanno finanziato alcuni centri. Se facciamo un raffronto con il primo impegno sottoscritto dal presidente Obama, siamo un po’ lontani da quanto aveva promesso in settembre, ma gli Stati Uniti sono coinvolti e stanno investendo. Stiamo chiedendo a tutti quelli che hanno ottenuto fondi dagli Stati Uniti di essere flessibili, perché oggi non ci servono quei 17 centri da 100 posti letto, ma abbiamo bisogno di diversi centri da 25 posti letto nelle aree rurali, quindi dobbiamo adattare il programma alle nuove necessità.

euronews: Quale sarà l’impatto di questo virus nel lungo termine? Perché vediamo che le scuole hanno chiuso, l’economia ne ha sofferto. Quale sarà l’impatto?

Liu: Serviranno anni per risollevarsi. Abbiamo subito perdite di vite umane, perdite di infrastrutture. Credo che non siamo in grado di misurare pienamente l’impatto di questa epidemia. E’ fondamentale che, sebbene si cominci a vedere qualche miglioramento sul campo, non si commetta l’errore di focalizzarsi sulla ricerca di una risposta per il futuro, quando mancan

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