http://www.pupia.tv - Marsala (Trapani) - Quattro persone ritenute affiliate alla famiglia mafiosa di Marsala sono stati tratti in arresto dai Carabinieri del Ros e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, nell’ambito dell’operazione denominata “The Witness”.
I destinatari delle misure restrittive in carcere, emesse dal gip di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, sono Antonino Bonafede, 80 anni, pastore; Martino Pipitone, 65 anni, pensionato; Vincenzo Giappone, 53 anni, pastore; Sebastiano Angileri, 47 anni, fabbri, tutti indagati per associazione di tipo mafioso, fittizia intestazione di beni e favoreggiamento aggravato.
Le indagini, dirette dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e coordinate dal sostituto procuratore Carlo Marzarella, hanno accertato l’attuale vitalità e operatività della famiglia mafiosa marsalese, documentando il ruolo di vertice Antonino Bonafede, storico uomo d’onore lilybetano che, assieme a Vincenzo Giappone, provvedeva alla raccolta delle somme di denaro provento delle attività illecite, poi conferite al “mandamento mafioso” di Mazara del Vallo e ai familiari degli affiliati detenuti, come ad esempio Giacomo Amato, uomo d’onore marsalese condannato all’ergastolo.
Secondo quanto accertato dalla Dda di Palermo, Antonino Bonafede continua a svolgere il ruolo di “reggente” della “famiglia mafiosa” di Marsala. Vincenzo Giappone fungeva da “cassiere” della famiglia mafiosa rivestendo il ruolo di primo collaboratore del Bonafede; Martino Pipitone, anziano esponente di rilievo della consorteria mafiosa marsalese esercitava la propria sfera d’influenza principalmente nel centro storico della città, inoltre gestiva una fittizia società attiva nel commercio all’ingrosso di materiale ferroso, formalmente intestata alla moglie dell’Angileri. Quest’ultimo si occupava della logistica negli incontri riservati tra gli esponenti mafiosi. In pratica, Sebastiano Angileri, effettuava preliminari sopralluoghi in località non monitorate dalle telecamere dei Carabinieri.
La famiglia mafiosa marsalese, al fine di mantenere il controllo del territorio di competenza, si interessava fattivamente al recupero di refurtiva sottratta a persone vicine al sodalizio criminale, a dirimere controversie tra gli agricoltori e i pastori della zona e contrastare l’apertura di nuove attività commerciali che avrebbero potuto incidere negativamente con quelle riconducibili a personaggi protetti dagli affiliati. A tal fine programmavano l’esecuzione di atti intimidatori e danneggiamenti qualora la vittima designata non si fosse convinta.
Le indagini della Dda di Palermo hanno consentito di dimostrare l’appartenenza alla famiglia mafiosa anche di Baldassare Marino, assassinato a colpi di arma da fuoco nelle campagne di Marsala il 31 agosto del 2013. Nei confronti dello stesso erano stati raccolti rilevanti elementi di reità anche in ordine alla fittizia intestazione di un’azienda marsalese, formalmente intestata a terzi ed operante nel settore della produzione di conglomerato cementizio.
Il provvedimento restrittivo rappresenta, pertanto, un ulteriore e significativo intervento nel quadro della complessiva manovra disposta dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, finalizzata al progressivo depotenziamento dei circuiti criminali e al depauperamento delle risorse economiche di Cosa Nostra trapanese. (09.03.15)