Firmato il decreto, l’applicazione è immediata e la protesta altrettanto: la decisione di vietare per almeno tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti di cittadini iracheni, iraniani, somali, yemeniti, sudanesi, siriani e libici ha portato al fermo immediato di almeno una dozzina di persone che sbarcavano dal loro aereo.
All’aeroporto JFK di New York è scattata la protesta, all’esterno del terminal 4, al grido di “no ban, no wall”, cioè un “no” ai bandi e ai muri.
Due iracheni, che erano già in volo quando è scattato il bando, sono in stato di fermo.
Un consigliere circoscrizionale newyorchese, che cerca una mediazione, aggiunge:
“ci sono altre dieci persone per le quali abbiamo molte meno informazioni, ma anche per loro si presume che fossero già a bordo dell’aereo quando è scattato l’ordine esecutivo, e adesso sono qui, i magistrati non se ne sono ancora occupati e quindi per il momento non ne sappiamo di più”.
A questi si aggiungono altri casi negli altri aeroporti statunitensi, senza contare tutti quelli che erano partiti alla volta degli Stati Uniti e sono stati bloccati negli aeroporti i cui facevano scalo, come Dubai o il Cairo.
“È ingiusto – commenta un rifugiato siriano in un campo libanese – dove dovremmo andare? Siamo scappati dalla guerra e dalle bombe per metterci al sicuro, e alla fine lui ci rifiuta. Dove dovremmo andare?”
Al decreto firmato venerdì da Trump risponde l’Iran, che ha deciso di applicare la reciprocità: ma “a differenza di quello americano il nostro provvedimento non sarà retroattivo, i visti già concessi restano validi”, precisa Teheran. E dal Canada è il premier Justin Trudeau a rispondere via Twitter: “a chi fugge dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra: sappiate che i canadesi vi daranno il benvenuto, non importa quale sia la vostra fede”, ha scritto.