In vigore da giugno nell’Unione europea, secondo l’annuncio della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il passaporto vaccinale sembra essere la strada più adeguata da percorrere per ricominciare quella libera circolazione che la pandemia Covid ha, inevitabilmente, reso molto più complessa, se non proprio bloccata.
Si tratta, in particolare, della standardizzazione della certificazione di avvenuta vaccinazione, che tuttavia non vuol dire una garanzia e totale immunità, fatto che – su numeri così alti – nessuno può con responsabilità attestare. Il passaporto vaccinale è di certo lo strumento migliore per ridurre al minimo, anche se non proprio eliminare, il rischio di contagio, rappresentando lo strumento migliore per poter viaggiare in sicurezza. Eppure, un ragionamento sul passaporto vaccinale deve fondarsi almeno su alcune basi, la principale delle quali è che si può procedere in tal senso solo se è – ed è stato – permesso di vaccinarsi a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione, neanche territoriale.
Non si può infatti pensare che, tramite uno strumento giusto, il passaporto vaccinale, si crei una sorta di discriminazione tra chi lo ha avuto e chi, invece, non ha potuto farlo, in quanto la strategia di somministrazione della Regione dove è residente ancora non glielo ha permesso. Sarebbe infatti un doppio paradosso, per non dire un doppio vantaggio, per chi si è vaccinato rispetto a chi non ha potuto farlo.
In questo quadro, allora, si rafforza il senso positivo della scelta dell’Unione di proporre questo strumento solo a partire da giugno di quest’anno, cioè da quando – auspicabilmente – gran parte dei cittadini europei dovrebbe essere messa in condizione, senza difficoltà e ritardi, di poter scegliere liberamente se vaccinarsi o meno.
Comunque, dal punto di vista giuridico, il passaporto vaccinale pone problemi rilevanti innanzitutto riguardo al diritto alla privacy sanitaria dei dati dei cittadini, rispetto alla quale – assai correttamente – il Garante in Italia ha sottolineato quanto prevede l’art. 32 della Costituzione, ossia che il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini debba essere comunque oggetto di una specifica norma di rango legislativo nazionale; nonostante molte Regioni italiane abbiano messo allo studio delle regole per ‘proteggere’ i rispettivi ambiti territoriali (la Sardegna in testa).
Il digital green pass europeo sarà dentro un accordo tra Stati, e magari assomiglierà molto a quella sorta di lasciapassare, già delineato in un assai interessante report della Royal Society britannica, pubblicato a febbraio. Ossia: dovrebbe essere standardizzato a livello internazionale con credenziali verificabili per usi definiti, e dovrebbe essere basato su piattaforme tecnologiche per tutti, cioè interoperabili; naturalmente dovrebbe proteggere, mettendoli al sicuro, i dati personali dei singoli, essendo tuttavia portatile, cioè accessibile per gli individui, ma anche per i governi, come tutti