La lunga strada della Scozia verso una maggiore autonomia

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Il cammino della Scozia verso una maggiore autonomia comincia nel 1997 con il referendum per la cosiddetta “devolution”, la travolgente vittoria dei “Sì” e l’istituzione, due anni più tardi, del Parlamento scozzese. “Questo è un giorno storico per la Scozia”, disse allora la Regina Elisabetta. “È nostro dovere solenne in questa camera, quando gli occhi del Paese sono puntati su di noi, sottolineare il momento in cui questo nuovo Parlamento assume pieni poteri al servizio del popolo scozzese”.

Popolo che, però, oggi non si sente ancora pronto per la completa autonomia. Con grande sollievo di David Cameron, il quale ha rischiato di passare alla storia come il premier incapace di salvare il Regno Unito.

Le conseguenze politiche del referendum sono comunque enormi: Westminster deve ora mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale per un’autonomia scozzese ancora maggiore. Nel fisco, nella spesa pubblica e nel welfare. Il conto alla rovescia è partito: Cameron si è impegnato a raggiungere un accordo con le forze politiche entro novembre, con l’obiettivo di pubblicare una bozza di legge già il prossimo gennaio.

Il nodo più difficile da sciogliere sarà quello delle tasse. Dal ’99 tra le competenze del Parlamento scozzese figurano governo del territorio, sanità, educazione, politiche agricole ed ambientali, oltre ai trasporti e al turismo. Al contrario, politica estera e di difesa, mercato del lavoro e sicurezza sociale rimangono prerogative del Parlamento di Westminster, insieme alle politiche commerciali ed energetiche.

Maggiori concessioni alla Scozia non faranno che scoperchiare il vaso di Pandora. Si notino, a riguardo, le proteste seguite all’impegno di Cameron per il mantenimento dell’attuale formula di distribuzione dei fondi pubblici, già molto generosa nei confronti di Edimburgo. Oppure le polemiche dei conservatori inglesi, secondo cui dovrà essere ridimensionato il ruolo dei parlamentari scozzesi a Westminster. Cameron deve muoversi in fretta, anche se ha chiarito che qualsiasi riforma del sistema non avverrà prima delle elezioni politiche del 2015.

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